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Barbara Minniti

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Bio Ricordi



Non mi piace parlare di me ma pare che sia indispensabile. E se proprio bisogna farlo, facciamolo bene. Sono nata in una famiglia romana (mia madre da generazioni da parte materna, avendo nonno e bisnonno avvocati papalini, vedi qui Le memorie del mio trisavolo Pietro Gui), ma con influenze meridionali che in realtà sono testimoniate solo dai cognomi. Il mio è siciliano, quello del padre di mia madre è pugliese (Casamassima). Io non sono mai stata nè in Sicilia, nè in Puglia, non conosco i parenti di lì, non ho case al paese (purtroppo). Certe volte penso di essere senza radici perchè Roma è così, accoglie tutti e fa un gran frullato misto e alla fine siamo tutti romani, proprio come il mio bisnonno siciliano di Siracusa (eccolo qui in un gruppo di famiglia) che è arrivato nella Capitale per lavorare alla Banca d'Italia dopo l'Unità, ha sposato una toscanina dal terribile carattere (pare che lo inseguisse con la ciabatta in mano) e ha procreato mio nonno Sergio (qui da giovane), romano, per lavoro a Parma (dove è nato mio padre), Alessandria e Milano, poi con casa alla Garbatella e d'estate cabina allo stabilimento Marechiaro di Ostia.
E come mio nonno Domenico (nella foto con Trilussa) che è arrivato da Toritto (Bari) per fare l'avvocato nella grande Capitale. Ha incontrato la figlia di un senatore del Regno e ha messo su famiglia. Sei figli tra cui mia madre (la più piccola) e Emanuele detto zio Nello, il maggiore, che è stato il direttore della Biblioteca nazionale di Firenze durante l'alluvione del '66. E' lui che ha tenuto a battesimo gli angeli del fango.
Mio nonno paterno lavorava come il padre alla Banca d'Italia e ha avuto solo un figlio, cioè mio padre. Poichè ormai ho una certa età, sono cresciuta con i loro racconti del periodo fascista e della guerra. Molti ricordi di fame e bombardamenti. Sotto quelli di Milano è morta mia nonna Margherita. Aggiungiamoci quelli di mia madre (qui con me) che si beccò la tubercolosi e trascorse molto tempo nel sanatorio di Sondalo in Valtellina, che però non bastò. Si è salvata grazie alla streptomicina che una parente ricca rimediò alla borsa nera dopo la guerra. Cosa che mi fa dire di essere figlia di un antibiotico americano.
Per il resto niente storicamente di rilevante da raccontare, anche se il nostro lessico era pieno di divertenti e spesso umoristici aneddoti famigliari.
Diciamo che la mia famiglia si concentrava sull'attività intellettuale. Sono sempre stata circondata dai libri che mio padre, funzionario Rai, comprava usati a caterve da "Gigetto", uno che aveva un carrettino su Viale Giulio Cesare e che poi ha aperto un negozietto sulla stessa via. E parliamo degli anni '50/'60/70. A casa arrivava di tutto e tutto ci era consentito leggere. Io avevo problemi di comprensione e leggere non mi piaceva. Mio padre a 11 anni mi chiuse un giorno intero in camera da letto in compagnia di Sherlock Holmes (Uno studio in rosso) e non mi fece uscire finchè non lo lessi tutto. Da lì iniziò la mia lunga carriera di lettrice che non si è mai interrotta. Il secondo libro che ho letto e che è rimasto da sempre sul mio comodino è L'Educazione sentimentale di Flaubert. Su quello di mia madre ci ho sempre visto: La Montagna incantata di Mann (naturalmente), Una Vita violenta di Pasolini e Madame Bovary di Flaubert. Emma se la portava dappertutto e quando fu operata di cataratta (ed erano gli anni '90) dovette sostenere l'anatema del prete con il rosario, in visita alle ricoverate. Mamma, da anziana, nei viaggi metteva in valigia anche la video cassetta di Caro Diario di Nanni Moretti, e non ho mai capito come mai una donna della sua generazione amasse così tanto le narrazioni intimiste di un mio coetaneo e come facesse a vederla senza un videoregistratore a disposizione.
Oltre alla lettura in famiglia c'era anche l'obbligo del cinema. I miei erano cinefili accaniti, mio padre era nella segreteria dell'Aiace romana e trascinava quasi tutti i giorni me e le mie sorelle al Filmstudio, nei vari d'essai o nei cinema di seconda e terza visione che all'epoca imperversavano. Ho bevuto di tutto, dai film rivoluzionari cubani con sottotitoli in francese ai primi Woody Allen, da Bergman a Totò, da Straub (povera me) a Petrolini, da Truffaut all'imprescindibile Eisenstein, da Bresson al cinema americano. Mia madre risparmiava fino all'ultima lira per permetterci le vacanze in Sardegna in camere d'affitto, il cinema, i libri e possibilmente viaggetti. A casa mia non ho mai visto una bistecca nel piatto...Però mi ha portato a vedere Accattone, i film di Visconti, tutto Chaplin, l'adorato Tati e poi quello che capitava al cinema più vicino, soprattutto film americani, vera goduria perchè erano accompagnati da un vassoio di paste comprate al bar accanto. Lì mi sono imbattuta per la prima volta ne Lo Squalo, che è il mio cult movie...
Al cinema si univa la televisione. Mio padre, essendo un dipendente Rai, (eccolo con una collega) aveva installato un enorme apparecchio in casa già nel '55 e io sono cresciuta con i primi mitici programmi e gli sceneggiati, passione che mi è rimasta e ora non rinuncio alle serie televisive e alle soap opera. Vedo un po' di tutto. Quando è in onda Un posto al sole, inutile chiamarmi perchè stacco il telefono.
Tornando alla mia storia nel frattempo era arrivato il '68.
E successe che, come dico io, ci "proletarizzammo". Mio padre si fece crescere la barba alla Carlo Marx (lui sosteneva che era per coprire la cicatrice di una ferita provocata da un gronco che gli aveva addentato una guancia durante una battuta di pesca subaquea in acque sarde e che poi era finito con soddisfazione di tutti in padella). S'andava alle manifestazioni contro la guerra nel Vietnam e a Porta Portese mi fu comprato il primo eskimo verde che divenne la mia uniforme per molti anni.
Non è che i miei fossero esattamente comunisti. O almeno non erano iscritti al partito. Mia madre ha però sempre votato PCI, mio padre era più il tipo dell'extraparlamentare e alla Rai dava filo da torcere ai boiardi democristiani, essendo iscritto all'ala più di sinistra della Cgil. Io invece non ho resistito e a 19 anni, subito dopo lo shock del colpo di stato in Cile, ho preso la tessera in una sezione PCI dell'estrema periferia di Roma sud, zona dove c'eravamo trasferiti dalla Balduina (Roma nord). E mentre studiavo filosofia all'Università, mi sono anche immersa nei problemi delle borgate romane con questioni di fogne e acqua potabile da conquistare. Cosa che è avvenuta, grazie alle giunte di sinistra dell'epoca. Ma quante battaglie (eccomi in una delle tante). La mia militanza è andata avanti per molto tempo e ha seguito le vicende del partito, ma oggi mi sento lontana dalle logiche della politica, non ho nostalgie o rimpianti, non rinnego nulla (ci macherebbe), ma non sento più alcun bisogno di riferimenti ideologici o di parrocchie cui appartenere. Ho nel mio bagaglio tutto ciò che mi serve per sapere da che parte stare, sempre.
Ritornando alla mia storia, non so cosa avrei fatto nella mia vita se non fosse che a un certo punto mi sono inventata un giornaletto locale in cui facevo tutto io e che ha attirato l'attenzione di un prestigioso quotidiano romano appena uscito da una crisi e che, grazie al rilancio in Cooperativa, era alla ricerca di nuova linfa. E' così che fui chiamata da Paese Sera e dal suo direttore Claudio Fracassi per occuparmi della cronaca locale.
Da lì è iniziata la mia storia di giornalista e ho scarpinato parecchio.
Erano altri tempi. Non esistevano ancora i cellulari e neanche i computer. Oggi mi chiedo come facessimo avendo a disposizione solo il telefono a gettoni quando stavamo in giro, le vecchie macchine da scrivere che facevano un gran fracasso e i primi enormi fax che si sfasciavano di continuo.
Ma quell'esperienza è stata importante per imparare non solo il mestiere, ma anche come cavarmela nelle situazioni più difficili, ed ha accentuato una delle mie caratteristiche, che è la curiosità.
Quando Paese Sera ha chiuso nel lontano 1994, ero una giornalista professionista con un ottimo curriculum sul quale però non c'era scritto che ero da poco diventata madre single. Per questo ho rinunciato a trovarmi un lavoro in un altro quotidiano per essere il più possibile presente nella vita di mio figlio. Troppo impegnantiva la vita della giornalista a tempo pieno. Troppo complicata e piena di responsabilità la vita di una madre single.
Quindi ho scelto la strada degli Uffici stampa e poi l' impegno nel Terzo settore e nell'organizzazione di eventi culturali.
Più recentemente sono stata la presidente di un'Associazione per l'insegnamento della lingua Inglese.
La cultura anglosassone è una delle mie passioni, insieme con la storia, la lettura e naturalmente la scrittura. Ho pubblicato tre libri, che sono quelli in home page. Ne ho scritto un ultimo e ora sono in attesa della sua pubblicazione.